Il paradosso di Zalone e l’eco di Carmelo Bene

Tolo tolo checco zalone

L’euforia, pure da parte di una certa critica sempre attenta anche agli sviluppi economici e di gradimento popolare dei film (in realtà un’ostinata esercitazione che si fatica a comprendere), con la quale è stata accolta la facilmente pronosticabile valanga di spettatori per il nuovo film di Checco Zalone, in realtà affronta il problema delle (mediamente scarse) presenze nelle sale italiane, in modo analogo a chi guarda il dito e non la luna. Ci si rallegra insomma perché finalmente al cinema si reca una massa, senza dubbio numericamente debordante, vogliosa di divertimento, sostenendo che se ci fossero sempre film così, la crisi del cinema sarebbe presto risolta.

È un modo di pensare piuttosto bizzarro e soprattutto paradossale, perché semmai il voluminoso successo di “Tolo Tolo” dimostra esattamente il contrario: che la crisi esiste e che anche il pubblico ha la sua parte di colpa. Non si entra qui ovviamente nel merito del film, non è questo il punto. Semmai spiega come ogni recensione, anche la più arguta, si dimostri tutto sommato abbastanza inutile, anche a infiammare un dibattito, nel quale già i social si distinguono per capacità, notoriamente celebrate, di dialogo sereno. Al di là di questa facile ironia, la baldoria per il trionfo annunciato del film dimostra come la corsa al posto in sala sia unicamente legata alla necessità di partecipare a un rito, al quale sarebbe molto grave mancare, che amplifica e distorce quello che fino a poco tempo fa era dedicato ai cinepanettoni, che tuttavia erano solo un appuntamento tradizionale del Natale e non una tappa “obbligatoria” per chi si sente spettatore per un giorno. Non a caso la scelta governativa del cinema a 2 o 3 euro per un giorno, con la conseguente marea di spettatori, è sempre stato definito un mezzo totalmente sbagliato e diseducativo per (ri)portare la gente al cinema.

Il resto lo fa l’occupazione quasi militare del film nelle sale italiane. E se è comprensibile che ogni esercente voglia programmare il film per rifarsi delle tante sale vuote di un anno, alla fine andare a vedere Zalone non è quindi nemmeno una scelta, essendo sporadiche le alternative, delle quali ovviamente lo spettatore occasionale non tiene minimamente conto. Parafrasando Carmelo Bene, quando si riferiva alla pubblicità, non siete voi a comprare, ma siete comprati. Non siete voi a scegliere di vedere Zalone, ma siete scelti.

Senza avere una propria capacità di scelta (anche un tempo si correva a vedere Totò o Sordi, ma si entrava anche nelle sale dove c’erano Antonioni e Ferreri…, oggi al massimo Ozpetek, che rincuora e rassicura tutti, non certo Loach), senza avere la possibilità di alternative davanti alla cassa, Zalone rastrella tutto e fa il pieno. Ma meriterebbe più un’inchiesta sociologica, che non tante recensioni se faccia più o meno ridere o, peggio, se sia razzista o meno, altro dibattito estenuante acceso in un attimo. Insomma Zalone, con i suoi incassi record, non risolve i problemi e la crisi del cinema italiano, semmai li esalta, anche nelle forme distributive, ormai segnale di un sistema basato soprattutto sulla forza.