Carissimo CR7: storia di un calciatore che gettò la maglietta a terra e di un tifoso che non lo ama

Carissimo CR7,

perché poi tutti veniamo ridotti a una sigla (e lo sappiamo bene noi giornalisti), parto subito dalla nota più dolorosa: io non la amo, nonostante lei sia il calciatore-copertina della mia squadra, dunque il simbolo perfetto su cui poggiare il tifo. Credo che questo sentimento di indifferenza amorosa sia piuttosto condiviso da molti tifosi bianconeri e penso anche non sia diverso da quello provato altrove, dalle altre tifoserie delle squadre che si sono giovate della sua presenza, durante la sua folgorante carriera che direi stenta adesso a riconoscere e accettare il passaggio degli anni: capisco, nessuno vuole imboccare il proprio viale del tramonto, anche solo sportivamente parlando. Ricordo solo uno che a nemmeno 32 anni decise, in pieno vigore fisico, di dire comunque basta, uscire senza mostrare le rughe del tempo e con quelle eclissi che a volte si dimostrano imbarazzanti. Si chiamava Platini, lo avrà sicuramente apprezzato quando lei era ancora un bambino e forse è stato perfino un suo idolo. Aveva un innato senso di sé, come tutti i campioni, figuriamoci lui che era francese, ma metteva sempre la squadra davanti: Nancy, Juve, Francia che fosse, lei no. Gioca sempre per se stesso. È sempre stato così, lo è ancora di più oggi, che insomma tra le tante prodezze che riesce a fare ancora in campo, spara pure qualche ciofeca, tipo il palo colpito a porta vuota ieri con il Genoa. Tutti sbagliano, ci mancherebbe. Poi bisogna accettarlo. Sa cosa successe a Platini un giorno? Che un arbitro tedesco, si chiamava Volker Roth, in una partita che in fin dei conti era soltanto la finale mondiale per club, decise di annullare quello che è a tutt’oggi considerato il gol più bello della sua folgorante carriera, non meno esaltante, mi creda, della sua. Un gol magnifico. Sa cosa fece Platini? Non gettò la maglia per terra, per dire quello che a lei ultimamente sembra un gesto simbolicamente rappresentativo, no. Appoggiò, disteso per terra, la faccia sulla mano, si fece quasi un sorriso, si rialzò e si mise di nuovo a giocare. Finale mondiale per club, il suo più bel gol (mai segnato, e stavolta sul serio) nella sua carriera. Sarebbe capace di fare altrettanto? No. È anche per questo che i tifosi (la grande maggioranza, ne sono sicuro), non la amano. Se la sostituiscono lei se ne va via da solo, senza nemmeno salutare i compagni, ma non per crisi esistenziale come il famoso portiere di Handke e Wenders, che lei certo non conoscerà (ma non è grave), no: lo fa perché lo ritiene uno sgarbo, perché è come quando giocavamo da bambini nei campetti dietro casa: chi portava il pallone giocava sempre, anche se era un brocco. Lei brocco certo non è, ma è convinto di portare ogni volta il pallone con il quale si gioca la partita. E quindi DEVE sempre giocare. Un po’ come quella storia che lei deve tirare sempre le punizioni, che mi creda sta diventando una scenetta patetica: dovrebbe vedersi come fanciullescamente corre subito a prendersi la palla, prima che a qualcuno venga in mente di fare altrettanto (tipo Dybala per dire, che mi creda le tira meglio di lei, se ne faccia una ragione, anche se a farsela dovrebbero essere l’allenatore e la società, ma questa è una storia più complessa). Lo so, una volta ha pure segnato, perché a volte qualcosa va storto. Ma mi creda: lasci perdere. È già adorato abbastanza, fa sempre quello che vuole, tipo andarsene via in tempo di Covid, fregandosene delle regole. La Juve ha fatto finta di niente, mica come quando, pochi giorni fa, McKennie, Arthur e Dybala hanno fatto una cazzata: tutti in tribuna, la Juve è una società che dà l’esempio e ha una moralità elevata, specie in questi tempi di grande sofferenza mondiale. La legge, anche nel mondo del calcio, si sa non è uguale per tutti. Insomma ha tanti privilegi, si accontenti. Anche l’adorazione dovrebbe avere un suo limite.

È arrivato alla Juve (scelta dimostratasi catastrofica, dall’addio di Marotta allo sconquasso nei bilanci), per conquistare quello che a noi tifosi sembra essere un sortilegio malefico: la Champions. Ha fatto di tutto, nel bene (tanti gol, e gliene sono ovviamente grato) e nel male, tranne l’unica cosa per la quale è stato chiamato. La Champions resta un sogno, meglio: un incubo. Forse, mi perdoni la battuta, la Juve avrebbe fatto meglio a indirizzarsi su Gabriele Amorth, almeno quando era in vita (è morto nel 2016), che era l’esorcista più famoso del mondo: ci hanno girato pure qualche film su di lui. Invece la Juve ha puntato su di lei, scambiandola per un Messia. Quindi capisco che lei si senta deluso dalla Juve, ma ci sono ottime ragioni per sostenere anche il contrario. Non so se le nostre strade presto si divideranno, ma non credo purtroppo: non è facile trovare qualcuno che la prenda dovendo svuotare la propria cassaforte, anche perché diciamo ormai lei avrebbe anche una certa età e gestire una presenza ingombrante come la sua non è facile per nessuno e il rischio di vedere altre magliette a terra diventa ogni giorno sempre più alto. In fin dei conti finirà per giocare da solo. A suo modo lei è un calciatore che è sempre stato “solo”, non come Baggio, Del Piero, Gigi Riva, Mazzola, Rivera, Maradona, Totti e ovviamente Platini. Certo: impeccabile per disciplina, talento, cocciutaggine. Ma solo. Un campione quasi triste, come quando si guarda attorno incredulo dopo un errore di un compagno e uno (certo raro) suo. Separato dal resto del campo. Forse dovrebbe chiudere la carriera giocando davvero la partita dell’addio senza compagni e avversari, in uno stadio vuoto come ormai stiamo facendo tristemente l’abitudine. Pensi: potrebbe perfino tirare tutte le punizioni che vuole. E senza barriera. Ci vorrebbe allora uno come Osvaldo Soriano a raccontarlo, non uno scribacchino come me.

Scusi il disturbo.

ADG55