Da Velasco a Fedez, rinunciare tutti a qualcosa per non rinunciare poi a tutto. Ma il mondo è sordo e Conte è il meglio del peggio

Con Julio Velasco le chiacchierate non erano mai banali e circoscritte al mondo sportivo. Una sera a tavola il grande coach che ha portato l’Italia a governare a lungo la pallavolo mondiale, ci confidò che era sua abitudine terminare un pranzo o una cena prima di sentirsi sazio: fa bene al fisico non essere appesantito inutilmente, diceva, e poi nella vita bisogna sapere rinunciare a qualcosa. Ecco la sensazione che si ha quando affrontiamo il tema delle misure per contrastare la diffusione del Covid, rilanciata dai primi freschi autunnali, è che nessuno voglia rinunciare a qualcosa. Se servono sacrifici, li facciano gli altri. Ogni categoria non sente il bisogno di cedere qualcosa, per il bene della salute, propria e della comunità. E poi la colpa è sempre degli altri. Non va mai bene niente: o c’è la dittatura sanitaria o c’è il lassismo, o c’è la centralizzazione o si delega troppo alle politiche locali, o si chiude troppo presto o non si chiude affatto eccetera eccetera.

Non sfugge a nessuno come il governo abbia manifestato spesso un’ambiguità di pensieri e decisioni, a volte sorprendentemente contradditorie e inefficaci, quando non palesemente inutili. D’altronde mettere d’accordo tutti è un’impresa titanica, specie quando le misure rischiano di essere necessarie per la salute (che in teoria dovrebbe essere la cosa a cui teniamo di più) e disastrose per l’economia, cercando un equilibrio tutt’altro che semplice e condiviso. Non so se un altro governo avrebbe fatto meglio: far meglio a parole sono capaci tutti. Leggendo i nomi che stanno oggi all’opposizione, stento a crederlo.

Viviamo un anno di grande confusione. Il pensiero scientifico, in breve tempo, si è dimostrato più caotico di quello politico, non solo sugli aspetti più consoni alla categoria (origine, rimedi, comportamenti antiCovid, eccetera eccetera), ma anche sulla capacità di avviare un dibattito interno sereno, distante dagli schiamazzi classici degli statisti, più o meno autorevoli (diciamo spesso meno). Da mesi assistiamo a gente che si rinfaccia studi e competenze, distinzioni di casta tra virologi, immunologi, epidemiologi eccetera eccetera, da mesi la politica affronta con il consueto caos la capacità di rimediare a errori madornali fatti negli anni passati, dalla sanità ai trasporti (settori colpevolmente in grande sofferenza), amplificando il dramma italiano della burocrazia sfiancante, che alle parole non permette spesso di far seguire i fatti.

Tralasciando le idiozie di negazionisti e complottisti vari, tralasciando le figure sinistre di governanti internazionali, da Trump a Bolsonaro, da Putin a Johnson, fino alle facce da cabaret italiane, da Salvini a Fontana fino a De Luca, se non si comprende che la salute, in ogni caso, perché irrimediabile, vale più di ogni altra cosa, compreso purtroppo anche il lavoro, il rischio di fare danni seri è elevato, anche se i numeri della pandemia ognuno li può leggere a modo suo, quindi trovando anche modo per sottostimare il pericolo, che non deve però mai sfociare nel terrorismo, dove ci sguazza gran parte dell’informazione, a caccia disperata di un like come una copia da vendere, più che dare un servizio appropriato.

Invece ognuno si attacca ai propri interessi, perché l’Occidente da tempo non è più in grado di rinunciare a niente (e così facendo, non avendo una soglia di autocontrollo, rischia di rinunciare sempre più a tanto), in nome di una libertà individuale sacrosanta, dove l’edonismo è sempre al primo posto, ma che andrebbe ridiscussa con l’obiettivo di uscirne tutti al più presto e tornare a fare, in quel caso sì “liberi”, le cose come prima, in modo da rilanciare sul serio anche l’economia, oltre a tutti gli interessi personali, dagli spritz a i viaggi nel mondo, dallo sport alla cultura. Ma il mondo pare sordo.

Il governo Conte non sarà il massimo, dovendo perfino ricorrere ai Fedez e alle Ferragni per avere più accesso alle masse giovanili, opzione discutibile ma non così sciocca. Ma è il massimo probabilmente che questa Italia può permettersi in questo tempo d’allarme continuo, anche se sembra che tanti non si rendano conto in che Paese vivono da tempo, ovviamente costruito con il contributo di tutti. Tuttavia visti i comportamenti di altre Nazioni, non è che altrove si comportino meglio: nella Francia del coprifuoco ieri sera a Rennes, allo stadio, al gol dei padroni di casa, in Champions league, si sono viste scene di euforia pazzescamente incontrollata: di cosa vogliamo parlare? Alla fine non siamo nemmeno i peggiori, come pensiamo. L’umanità è messa proprio male.