Il bene comune e il male comune

Abito in un comune che si allunga su una strada anonima e trafficata per circa 4-5 km, senza una vera piazza e senza zone di piacevolezza urbanistica e sociale. Fine. Abito a meno di 2 chilometri dal confine del comune di Venezia, dove chi vi abita può andare a Mestre, a Venezia (tutto il centro storico) e perfino al Lido e tutto l’estuario, tipo Murano, Burano e Torcello. Ovviamente poi c’è chi sta a Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli eccetera, che ha altrettante risorse psicologiche in più in questo maledetto periodo. Al di là del bisogno governativo legittimo di contenere gli spostamenti, la discriminante della zona comunale per uscire di casa è palesemente e pesantemente iniqua. Forse ragionare per provincia sarebbe stato più giusto (anche la più piccola provincia ha comunque uno spazio “vitale” accettabile). Ovviamente c’è anche chi abita in comuni più piccoli, specie nelle zone montane, dove ogni 10 case c’è un comune. A me non interessa tanto il Natale o il resto, non me ne può fregare quasi di meno. Però trovo che la spartizione comunale sia davvero una profonda ingiustizia, per prendere una boccata d’aria, per fare una passeggiata e per vedere qualcuno, amici o parenti (io così non posso vedere praticamente nessuno, e passare e ripassare solo quei pochi chilometri in lunghezza del comune). Insomma: chi abita in piccoli comuni si sente più imprigionato di altri come il campanile nella foto. Non è facile contenere gli spostamenti, ma ragionando per zone, bisognerebbe dare più o meno una possibilità accettabile a tutti per resistere quotidianamente.