Se l’arcobaleno fa paura: sul ponte dipinto chi non ama i colori, preferisce il nero. Vade retro gay

Hanno dipinto un ponte. E secondo alcuni, i soliti, i colori non vanno bene. A loro piace un solo colore, solitamente il nero. Così per aver dipinto il breve tratto del ponte di Corso del Popolo, in centro a Padova, con l’arcobaleno, si è scatenata nella città veneta una protesta abbastanza prevedibile e sempre becera da parte delle forze politiche di destra. Quell’arcobaleno ricorda che questo è il mese in cui avvenne, nel 1969, la brutale irruzione della polizia americana (toh, ma guarda un po’) in un locale gay di New York (lo Stonewall), che dette il via a manifestazioni di protesta, oggi riassunte nel Gay pride. I colori dell’arcobaleno, simbolo in tutto il mondo della comunità lgbt+ (e che in Italia si tende invece spesso, chissà perché, a identificare soltanto con i movimenti per la pace), secondo gli esponenti vari della destra sarebbero divisivi e quindi non si comprende la necessità di addobbare la città, anche se per qualche breve metro, spendendo soldi (in realtà poche migliaia di euro) e provocando il fastidio di chi si sente defraudato del consueto asfalto per la gioia dei suoi occhi. Pensateci: a favore delle donne e dei neri sono un po’ tutti pronti a sostenere una solidarietà (almeno a parole), sui gay no. Si nicchia, si distingue, si evoca la lobby. I gay continuano a rappresentare un pericolo, un’infamia, una provocazione. Si grida alla cultura del gender, una delle invenzioni più esilaranti, perché è come se leggendo dei gialli uno diventasse omicida. E infatti nelle scuole si censurano libri che spiegano come la Terra sia popolata da persone varie, anche in materia di identità e istinto sessuale, tutte diverse, come i colori. Macché: gridano allo scandalo per la sfilata del Gay pride (che quest’anno, causa Covid, non si farà) , perché scompagina le loro sicurezze e non si accorgono che è solo un modo giocoso per affermare la propria esistenza e reclamare una giusta cittadinanza. E comunque rappresenta soltanto uno dei tanti modi, quello più ludico, di manifestarle.

Tra gli esagitati del pericolo imminente, la voce di punta è stata anche stavolta quella di Massimo Bitonci, già sindaco della città (oltre che, prima, di Cittadella), che ha il privilegio di regalare spesso uscite spassose, vivendo nel costante allarme di un mondo dove esistono, purtroppo per lui, anche stranieri e omosessuali, che com’è noto rappresentano un’estensione provata dell’esistenza di Satana. Come il kebab che non può convivere con la pastasciutta. Gente che sogna un Paese dove esiste solo un modo di pensare e vivere, il loro, spesso in modo ipocrita: un’idea piuttosto furfante della democrazia. Perché poi c’è chi predica bene e razzola peggio ovviamente, a cominciare dal Vaticano di Ratzinger quando si scaglia contro i gay, dimenticando di averne le stanze piene.

Ma questo è un Paese che non vuole smettere per fortuna di sperare, nonostante le mille difficoltà di far valere i propri diritti. Finalmente è arrivata nelle aule parlamentari la proposta di legge contro l’omofobia (che ovviamente, per la destra, non esiste, come il femminicidio o il razzismo), ma inevitabilmente ancora prima di cominciare c’è già chi urla, non solo sui social, il pericolo di una deriva che in tal modo si approvi la pedofilia, perché si sa, per loro, la rima è automatica. Agitano la confusione, la paura, addebitano a una minoranza un problema che è soprattutto della maggioranza eterosessuale, spesso tra le mura domestiche delle famiglie che prendono l’ostia alla Messa. Il cammino sarà lungo e tortuoso e le fake news abbonderanno, ma l’Italia è questa, anche in materia di diritti civili. Un Paese in grande ritardo. Nei giorni scorsi sui social qualcuno sosteneva di non capire quale fosse il privilegio, a lui del tutto incomprensibile, di essere maschio, bianco ed eterosessuale. Facciamo che, anche per un anno soltanto, sia costretto a rinunciare, pure a scelta, a soltanto una di queste tre identità. Forse gli sarebbe più facile afferrare dove sta il privilegio. E magari spiegarlo a chi, come Bitonci, pensa che la parità sociale dei gay sia una prevaricazione di chi vuole imporre agli altri il proprio modello di vita e che «al peggio non c’è mai fine». Come dire: la colpa dell’Olocausto fu degli ebrei, in quanto esistono. Forse anche l’Italia diventerà un giorno uno Stato civile. Forse. Somewhere, over the rainbow.