L’euforia dilaga come il virus: si riapre quasi tutto, ma il cinema resta muto. L’Italia in giallo e il giallo della politica: ma l’assassino è noto

Già manifestatasi in modo eloquente nell’ultimo weekend, l’euforia che saluta il ritorno in zona gialla di gran parte dell’Italia, se da un lato trova una piccola comprensione nel desiderio (ormai irrefrenabile) di riappropriarsi di una normalità almeno apparente della nostra vita, dall’altra è l’ennesimo segnale di come le misure di costrizione alle quali siamo costretti ormai da quasi un anno siano l’unica arma capace, e non senza sforzi (certo economici e psicologici), di tenere a bada questa straziante attualità. Non c’è verso: se si allentano le cinture di sicurezza, si sbraca facilmente. Specialmente i giovani, che indubbiamente nella loro vitalità effervescente, se ne sbattono altamente di ogni misura di prevenzione: d’altronde nella loro fascia d’età ci si ammala raramente (e nel caso, in modo piuttosto sostenibile) e probabilmente il rischio di infettare, da asintomatici, le persone più anziane (e anche più care) non è così preoccupante da garantire un comportamento adeguato. Diciamo che sen sbattono le palle. E il virus ringrazia: così gli si allunga certamente la vita. Questo non vuol dire che un tentativo non andava fatto, perché la prigionia casalinga è quasi oltre i livelli di guardia; ma è impressionante (foto e filmati dell’ultimo weekend, sparsi per tutt’Italia, lo dimostrano) come le regole, in Italia più che altrove, siano disattese continuamente, perché probabilmente fa anche figo. Siamo un Paese che reclama dall’alba della Repubblica regole, con il gusto di beffarle. E chi dovrebbe garantirne l’applicazione, si volta spesso dall’altra parte, anche sulle questioni più frivole, come accaduto di recente nel calcio (Juve-Napoli) e nello spettacolo (la mancata squalifica di Fedez da Sanremo, sul quale tra l’altro si sta svolgendo la consueta gazzarra di discussioni). Figurarsi su quelle più serie.

Semmai spiace, in tutta questa baldanza di ritrovata apparente normalità che il “giallo” sembrerebbe garantire, come alcuni settori si dimostrino ancora una volta seguiti, diciamo con affetto, dalla politica e altri invece totalmente ignorati. Così se è giusto che si tenti in tutti i modi di far riaprire bar e ristoranti, non si capisce perché, a distanza di tanto tempo, altri luoghi di aggregazione debbano restare disperatamente chiusi, cinema e teatri in primis. È evidente il diverso peso della categoria, anche dal punto di vista “rumoroso” della protesta e della solidarietà dei cittadini, ai quali manca ovviamente l’occasione dello spritz e non certamente anche quella di un film visto in sala: e qui al di fuori della logica di appartenenza al settore, mi sembra piuttosto comprensibile. Insomma c’è anche un diverso “silenzio” della categoria, un po’ perché i ristori nell’ambiente cinematografico non sono stati disprezzati dagli esercenti, specie quelli i cui incassi non erano certo floridi, un po’ perché nella categoria non c’è una unità di organizzazione che permetta una protesta probabilmente efficace. Quindi i cinema restano malinconicamente chiusi e muti, e sembra non fregare granché là dove si governa. Senza dimenticare che guardando un film si resta seduti, a distanza, e non si parla, particolare che evidentemente non trova conforto.

Ma l’Italia politica ha ben altro a cui pensare. Renzi, tra un viaggio a Riad e un’intervista in tv, ci ricorda ogni giorno “com’è misera la vita negli abusi di potere”, la destra sa solo urlare “al voto, al voto”, convinta (purtroppo a ragione) di vincere a mani basse, mentre Pd e M5S si muovono tra solita confusione e possibili diaspore, corpi frankensteiniani mal assortiti, dove la testa non va d’accordo con i piedi. Da sempre, e certo non da questa sciagurata crisi di governo. Dove non è chiaro ancora il finale, anche se il “giallo” Italia il suo colpevole ce l’ha e non serve essere Maigret per capirlo. Ma l’Italia è questa, inutile girarci intorno. Un Paese dove qualcuno pensa davvero di eleggere Berlusconi come presidente della Repubblica. E non è la nipote di Mubarak.