Addio Schengen: we had a dream, avevamo un sogno. L’abbiamo perduto

Appartengo alla generazione più fortunata di tutta la storia dell’umanità. Nessuno aveva mai vissuto come noi: mai una guerra, case confortevoli riscaldate d’inverno e rinfrescate d’estate, possibilità di muoversi in breve tempo in tutto il mondo, tecnologie avanzate, vaccini contro malattie diffuse, cure adeguate negli ospedali, viaggi nello spazio, la conquista della Luna. Avevamo un sogno: abbattere le frontiere, sentirci (almeno in Europa) una Nazione unica, con le giuste differenze ma con un desiderio di stare uniti, provando a non avere confini.

In breve tempo, dopo averlo faticosamente costruito in maniera parziale ma anche benaugurante, pur con le evidenti complicazioni del caso, tutto questo sembra svanire, probabilmente è già dissolto, difficilmente potrà essere ritentato (almeno a breve termine). Oggi lo spazio Schengen, quella laboriosa alleanza tra 26 Stati che rinunciano ai propri confini, di fatto non esiste più. We had a dream, avevamo un sogno: l’abbiamo buttato via, cancellato. Probabilmente per sempre. Di sicuro per la mia generazione, la più fortunata di tutta la storia dell’umanità.

Non aggiungo nulla sul Coronavirus, né dal punto di vista sanitario, né per i suoi riverberi economici, in entrambi i casi dalla situazione tragica, se non decisamente catastrofica. È giusto parlino gli esperti, scienziati ed economisti: c’è già troppa gente che blatera e scribacchia a vanvera. Qui parlo solo della fine di un sogno. Quando circa un quarto di secolo fa si passò per la prima volta in uno Stato straniero senza essere fermati alla dogana, senza vedersi richiedere un documento d’identità, senza (se vogliamo aggiungere) fare code a volte eterne, stavamo realizzando, costruendo un tentativo di Nazione allargata, che nel tempo si è ulteriormente espansa. Fu un grande giorno, ricordo ancora la mia emozione di viaggiatore compulsivo: eravamo cittadini d’Europa, quell’Europa che per secoli e secoli, fino all’altro ieri (di fatto nemmeno 80 anni fa) era stata teatro di guerre continue, uno contro l’altro, quasi senza pausa. La pace non era più uno slogan. Il sogno era quello di arrivare davvero ad essere un Paese unico: un ideale certamente più complicato da realizzare rispetto a togliere quattro sbarre e un po’ di poliziotti ai confini. E infatti ogni giorno, in questi lunghi anni, ne abbiamo avuto sempre la prova.

Non è colpa del Covid 19 se questa speranza oggi sta morendo o è già morta. Semmai è la “scusa” definitiva per interrompere un processo già abbondantemente rallentato nel tempo e forse anche già accantonato. I risvegli sovranisti, la voglia di richiudersi nel proprio orticello, di ricostruire muri e fili spinati, la paura e diciamo anche il disprezzo per l’altro che sono riaffiorati prepotentemente, minacciano da tempo questa unità. Molti ne vanno fieri, orgogliosi. Il virus, nella sua straordinaria e terribile prepotenza, ha solo accelerato questo processo. Il virus, che non conosce sul serio frontiere e confini, ha solo fatto deflagrare quel ritorno alle divisioni, nelle forme più o meno gravi, che da sempre governano l’umanità. Quando la pandemia terminerà, e tutti ci auguriamo il più presto possibile anche se non è facile essere ottimisti, non sarà agevole tornare a Schengen, se mai ci sarà questa esigenza, questo desiderio, questa volontà. Siamo stati la generazione più fortunata della storia dell’umanità. We had a dream, avevamo un sogno. Una grande occasione: l’abbiamo sfiorata, assaggiata, agognata. Probabilmente l’abbiamo perduta. Forse per sempre.

 

1 Commento su “Addio Schengen: we had a dream, avevamo un sogno. L’abbiamo perduto”

  1. Succede quando le idee forti diventano deboli. E il Covid19, come dici correttamente, non c’entra proprio per niente.

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